Gli anni di formazione del giovane pittore, come tutta la sua vita, furono fortemente influenzati dalla Controriforma attuata dalla Chiesa cattolica per combattere la Riforma Protestante.
Dopo il concilio di Trento, concluso nel 1563, si riaffermò il principio della pittura come insegnamento della dottrina e a servizio della Chiesa. L’arte sacra doveva essere come un libro aperto che illustrava a tutta la popolazione, anche ai più semplici, la verità della fede, evitando immagini di “bellezza procace”, di nudità, di oscura crudezza, poco comprensibili o equivocabili, diventando uno strumento di lotta contro l’eresia del protestantesimo. Agli ecclesiastici fu affidato il compito di vigilare sulla pittura della Controriforma divenendo loro stessi i maggiori committenti dell’epoca privilegiando la chiarezza, la semplicità e la devozione, tutte qualità riscontrabili nell’arte del Caccia.
Sicuramente incoraggiato nel proseguire gli studi sulla pittura e pervaso dalla ricerca del sacro che infervorava all’epoca, si dedicò a tempo pieno alla rappresentazione di figure religiose.
Il giovane Guglielmo ha quasi vent’anni quando a Guarene dipinge l’Annunciazione nella Chiesa Parrocchiale opera giovanile ed incerta, ancora priva degli insegnamenti dei grandi maestri.
Il marchesato del Monferrato, costituitosi alla fine del X secolo, fu assegnato al duca di Mantova Federico II Gonzaga nel 1536 da Carlo V, sul territorio del marchesato il pittore lavorò incessantemente, a Vercelli strinse amicizia con Gerolamo Lanino Figlio del più famoso Bernardino Lanino autore di quella scuola che ispirandosi a Gaudenzio Ferrari ripercorreva lo stile della Capitale romana affascinata in quegli anni dall’opera di Raffaello.
Nel 1589 si trova a Casale Monferrato dove il 6 novembre sposa Laura figlia del pittore Ambrogio Oliva e qui esegue il ciclo di affreschi sulla vita di San Pietro Martire nella Chiesa di Santa Rita.
Soggiornò a Casale Monferrato per quattro anni dove lavorò a numerose tele e pale d’altare per la Parrocchiale di Santo Stefano ed alla chiesa di San Paolo, in particolare nella cappella di San Matteo con le opere San Matteo e l’angelo ed il martirio di San Matteo, nell’anticappella, vi raffigura La Madonna con il Bambino e le Virtù Teologali e cardinali.
La Chiesa di San Michele, sede dell'arciconfraternita dei nobili, conserva sei tele del Moncalvo eseguite prima del 1614: Annunciazione, Annuncio ai pastori, Natività, San Michele Arcangelo, Assunta con San Francesco e monaco certosino, Riposo in Egitto.
Nella tela San Matteo e l’Angelo è evidente l’impostazione data dalle figure in primo piano a riempire completamente l’opera lasciando poco spazio alla raffigurazione dell’ambiente circostante se non per le caratteristiche dell’evangelista riconoscibile per lo scrittoio e la penna. L’Angelo adulto arriva lateralmente senza farsi sentire fino alle spalle del santo, Matteo scorge l’angelo rapito dalla sua santità, colpito dal fruscio percepito dalle vesti e dalle ali, il panneggio, come le figure, sembrano scolpite dal chiaroscuro e dai colori velati utilizzati con particolare maestria.
A Casale il Moncalvo tornerà spesso per eseguire altri dipinti a fresco, bellissimi stucchi e numerose tele per famiglie private.
Stabilitosi definitivamente a Moncalvo, il paese adottivo da cui trarrà il suo soprannome e che lo rese famoso e conosciuto in molte altre città, si adoperò ornando le chiese di meravigliosi affreschi come San Giovanni Battista nel deserto, il Riposo di San Rocco e dipinti nella Chiesa di San Francesco come l’Adorazione dei Magi, il Martirio di San Maurizio ed il Martirio di Sant’Orsola.
La composizione della tela è più articolata e matura, con una prospettiva centrale che disegna due diagonali che hanno inizio dagli angoli della tela e si incontrano al centro con la Vergine ed il bambino fulcri dell’opera, il Re alla destra si volge verso l’osservatore ad indicare il nuovo Re. Ammirevoli i colori, i drappeggi ed il volto della Madonna pervaso dalla luce della purezza.
La fama del pittore aumentava ed aumentavano le commesse di nuove opere per le chiese di numerosi paesi e città come Asti, Alessandria, Acqui Terme, Boscomarengo, Castellazzo Bormida, Chieri, Cuneo, Guarente, Milano, Pavia, Torino e Tortona. L’attività si fece incessante molto spesso lavorava a Moncalvo trasportando le tele successivamente in opera, mentre altre volte per eseguire gli affreschi si allontanava per lunghi periodi, dovendo sfamare la sua numerosa famiglia composta dalla moglie e dalle sei figlie.
Venne chiamato a Crea dai Monaci Agostiniani Lateranensi che erano in procinto di completare le costruzioni del Sacro monte dedicato alla Madonna Bruna, iniziato nel 1590. Il Sacro monte fatto di Santuario, cappelle e romitori necessitava di artisti per le sculture, gli stucchi e gli affreschi. Le costruzioni, nate per ostacolare la diffusione dell’eresia popolare, venivano edificate su rilievi naturali con effetti scenografici e coinvolgimento diretto dei credenti, producendo materialmente nelle cappelle scene della vita di Cristo, monumenti dell’arte sacra oggi solo in parte rivalutati. In origine dovevano essere quaranta le cappelle decorate, ma ne vennero realizzate ventitre più cinque romitori, il Tabacchetti come scultore ed il Moncalvo come pittore collaborarono alla realizzazione di numerose cappelle tra le quali la Cappella del Martirio di Sant’Eusebio, la Cappella della Concezione di Maria, la Cappella della nascita di Maria, la Cappella della presentazione di Maria al tempio e la Cappella del Paradiso, la più famosa con l’arditezza delle 175 figure di angeli in volo circondate da un coro di 300 beati.
A Moncalvo adibisce la sua dimora gentilizia a convento delle suore Orsoline, in seguito a regolare richiesta accordata dal Vescovo di Casale Monsignor Agnelli, che gli acconsente in questo modo, di ospitare le figlie nella propria casa. Forse fu uno dei pochi modi consentiti all’epoca di educare le proprie figlie, seguendo la Regola della Compagnia delle Dimesse di Sant’Orsola fondata nel 1535 da S. Angela Merici, in particolare all’arte della pittura, infatti due delle sue figlie: Orsola Maddalena e Francesca Guglielma, seguirono le orme del padre aiutandolo nella realizzazione di numerose opere e facendo parte della scuola a lui collegata. Suor Orsola Maddalena, vissuta fino a divenire quasi ottantenne, continuò l’opera del Caccia anche dopo la sua morte realizzando numerose tele di una delicatezza infinita.
La maturità della pittrice è evidente nella tela della Natività di San Giovanni Battista conservata nella chiesa di San Francesco a Moncalvo, dove la composizione risulta complessa ed articolata con in alto il letto della partoriente ed ai suoi piedi il Battista appena nato tra le cure della Vergine, Sant’Anna e delle dame di corte. I volti appaiono delicati, i particolari, rispetto al padre, più ricercati.
Nel corso del giubileo del 1600 molti ipotizzano per Guglielmo Caccia un pellegrinaggio romano dove vide i capolavori del Vaticano ed in particolare le opere del rinascimento come gli affreschi della Stanza della Segnatura di Raffaello o la Cappella Sistina conclusa negli anni quaranta del cinquecento da Michelangelo. Soprattutto per le opere affrescate di Milano e Novara è evidente l’influenza romana sul pittore, i corpi risultano più torniti e scultorei, i panneggi maggiormente plasmati dal chiaroscuro come il maestro Michelangelo scultore insegnava, ma è da Raffaello forse che venne ancor più influenzato, per affinità d’animo, così che i volti dei suoi santi e soprattutto delle madonne e degli angeli acquistano una delicatezza ed una bellezza immobile ed ideale al di sopra dello spazio temporale.
Insieme al pittore Federico Zuccari ed altri artisti dell’epoca fu chiamato a Torino per decorare la sontuosa Galleria di Palazzo Reale, 1605-1607, voluta da Carlo Emanuele I ed andata distrutta in seguito ad un incendio, forse in queste circostanze acquisisce il titolo di Barone. A Torino opera anche alle tele che decorano le chiese di Santa Croce, Santa Maria del Monte, Santa Teresa, oltre a varie congregazioni e conventi.
A Novara lavora al drammatico Compianto sul Cristo morto (o Cristo deposto dalla croce), nella Basilica di San Gaudenzio, ammirando il polittico eseguito anni prima da Gaudenzio Ferrari e posizionato nel 1516 nella Cappella della Natività, la stessa chiesa sarà conclusa dalla meravigliosa cupola di A. Antonelli e dal campanile di B. Alfieri tra il Settecento e l’Ottocento. Nel 1607 a Novara i padri Barnabiti edificarono la nuova chiesa di San Marco, la chiesa è costituita da un’unica navata sulla quale si aprono sei cappelle laterali con cupola a base rettangolare. Dal 1610 al 1614 lavorerà agli affreschi del coro, della cappella di S. Carlo Borromeo e della cupola che ospita l’Eterno Benedicente circondato dagli angeli con San Marco portato in cielo dai cherubini.
Molte sue opere si trovano nelle chiese di Milano soprattutto in Sant’Alessandro e Sant’Antonio Abate, altre in collezioni private ed altre ancora come San Gerolamo, Madonna col Bambino, Cristo Benedicente e Madonna Orante ai musei del Castello Sforzesco.
Purtroppo meno note sono le esecuzioni pittoriche esistenti nella sua terra natale e nei paesi limitrofi.
Nel piccolo nucleo abitato di Montabone ed in particolare nella Parrocchiale di S. Antonio Abate, sono custoditi cinque dipinti di notevole pregio, tre dell’artista a cui Montabone ha dato i natali: Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, due attribuiti alla figlia Orsola Maddalena Caccia e alla scuola del Moncalvo.
Due opere pittoriche su tela più il drappo processionale, sono stati restaurati ed esposti durante la mostra “Tra Belbo e Bormida luoghi e itinerari di un patrimonio culturale” tenutasi nella Provincia di Asti tra il 5 settembre ed il 26 ottobre 2003.
I dipinti ad olio attribuiti con sicurezza al pittore sono San Vittore, la Madonna del Rosario e San Rocco.
La grande tela dedicata a San Vittore nella quale predomina la figura del Santo in primo piano, inginocchiato, con di fronte la Vergine ed il Bambino, che gli appaiono sorretti da eteree nuvole e circondati da tre creature angeliche alate di squisita fattura, notevoli i colori rivelatisi dopo il sapiente restauro che riscoprono dei tessuti straordinari illuminati da riflessi cangianti di luce soprattutto nei rosa della divisa del santo e nel rosso dell’abito della Vergine. Il paesaggio rimane in ombra quasi inesistente solo la palma del martirio adagiata ai piedi del soldato, pochi i particolari, solo l’impugnatura dell’arma viene maggiormente caratterizzata. I volti rivelano nell’espressione una pace interiore ed uno sguardo di santità. La tela venne commissionata per adornare l’altare della Chiesa campestre di San Vittore ed in seguito traslata per decorare la parrocchiale, già nel 1771 l’altare di San Vittore era privo della tela come risulta documentato dalla visita pastorale di Monsignor Capra.
Posizionato di fronte a San Vittore la tela di simili dimensioni dedicata alla Madonna del Rosario in atto di porgere la corona del rosario a San Domenico, è incoronata dagli angeli che la racchiudono in mandorla, raffigurazione ripresa da opere precedenti e tipica dell’iconografia sacra, la figura del Bambino ruota su sé stessa per donare la corona del rosario a Santa Caterina, l’intera scena viene incorniciata dai quindici precisi riquadri raffiguranti i misteri e l’incoronazione di Maria. Dopo il restauro è emerso il disegno sottostante il colore, che in alcuni tratti, come nell’angelo a destra, tradisce un ripensamento della posizione finale della figura, mentre in altri come nelle nuvole rafforza il chiaroscuro. Come la tela di San Vittore la sua datazione è da ricondursi tra gli anni 1620 e 1625, negli ultimi anni della sua vita, quando ormai il pittore godeva di buona fama e di notevoli commissioni nei paesi del Monferrato, non è da escludere infatti l’aiuto della sua scuola ed in particolare della figlia Orsola per il completamento della tela. Degni di approfondimento, oltre la composizione, l’uso del colore nel rosa magistrale del vestito della Vergine, le velature delle nuvole e dei veli, i chiaroscuri dei tessuti drappeggiati e della luce, che illumina i volti e dà la lucentezza tipica delle perle nella corona del rosario.
San Rocco è raffigurato in una tela di dimensioni minori con ricca cornice dorata, il Santo mostra i segni della sofferenza legati alla peste con la piaga incisa sulla gamba e sulla fronte, al di sotto del cappello sormontato dalla conchiglia del pellegrino; si appoggia al bastone mentre dona il pane al cane simbolo della fedeltà anche nella malattia. Il quadro rubato prima di un attento restauro, ha una patina del tempo che oscura la figura non permettendone una lettura completa nei colori e nelle ombreggiature, i particolari comprensibili dall’immagine riprodotta ci fanno apprezzare il volto pieno di beatitudine con lo sguardo stanco, la mano scarna, il profilo del levriero e la bottiglietta con il tappo appoggiati al muretto. Il doppio mantello è fermato da una lucente spilla ovale mentre la figura è illuminata, in particolare sul retro del volto, dall’aurea vivida della santità.Anche questo quadro era inizialmente posizionato non nella parrocchiale ma nella chiesa campestre di San Rocco edificata intorno ai primi anni del seicento.
La tela raffigurante la Madonna con il Bambino e Sant’Anna viene attribuita alla mano di Orsola Caccia ed alla scuola del Moncalvo ma non per questo risulta meno importante e gradevole delle altre opere. Le due donne circondano Gesù Bambino che come nella Madonna del Rosario presenta una torsione del corpo tipicamente manierista. Il volto giovane della Madonna è supportato dalla luce dell’aureola, con i capelli raccolti sulla nuca ed il copricapo scostato, la veste riprende gli effetti cangianti del rosa argento evidenziati in San Vittore. Sant’Anna abbraccia la figlia ed accoglie il Bambino rimanendo più in ombra sulla destra del quadro. I colori ed i toni sono più scuri e le dimensioni simili alla tela di san Rocco.
Oltre ai dipinti ad olio della Madonna del Rosario, della Vergine con il Bambino e S. Anna, di San Rocco e di San Vittore, è importante analizzare la tela utilizzata come drappo processionale raffigurante S. Orsola da un lato e la Madonna con il Bambino dall’altro. Lo stendardo recentemente restaurato, non si trova in buono stato di conservazione, i motivi sono soprattutto legati al suo utilizzo, essendo sorretto in processione e dovendo subire le necessarie piegature e manipolazioni, hanno portato la tela a perdere la patina pittorica in molti punti.
La bravura di Orsola Caccia venne offuscata dalle difficoltà oggettive dell’epoca per l’universo femminile, pochissime donne si possono ricordare nel mondo della pittura successive a Orsola, le più note rimangono Artemisia Gentileschi (1597-1651?) e Rosalba Carriera (1675-1757).
Giovan Battista Gatti parroco di Montabone nel 1785 così descriveva le opere conservate nella parrocchiale: “le picture che si vedono fanno molto onore ed alla Chiesa ed al pittore medesimo. Basti dire che la maggior parte di queste riconoscono per loro autore il celebre Caccia, che non ha….(nulla da invidiare?) per la grandiosità della maniera, per quell’anima che ha saputo infondere alle figure, per la soavità, e armonia del colorire, per quella insomma facilità e morbidezza del pennello, onde le sue opere paiono condotte in un giorno e vedute in uno specchio, né al Correggio, né al Tiziano, né al Raffaello Medesimo...”.
Molte sono le opere della scuola del Caccia, e della figlia Orsola che si possono ammirare nei dintorni di Montabone, nelle chiese di Monastero Bormida, di Nizza Monferrato e di Acqui Terme, custoditi tuttora nel luogo di destinazione iniziale.
Testi a cura di Barbara Migliardi